C’è chi ha dovuto aspettare 276 mesi – 23 anni! - dalla comparsa dei sintomi prima di avere una diagnosi di dolore neuropatico. Ma anche quattro o cinque anni di attesa sono tutt’altro che rari. Donne più colpite degli uomini
Sembra impossibile, ma c’è chi ha dovuto aspettare 23 anni per avere una diagnosi di dolore neuropatico, quello cronico provocato dalle fibre nervose che trasmettono al cervello segnali sbagliati, sensazioni dolorose senza che ci siano danni reali a provocarle. Sembra impossibile, ma non è. A dimostrarlo è infatti un’indagine presentata oggi a Milano dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), condotta su 400 pazienti (26% con dolore neuropatico) tra 24 e 92 anni, selezionati in vari ospedali italiani tra quelli premiati con i bollini rosa che si occupano e curano il dolore.
L’Associazione internazionale per lo studio del dolore (Iasp) conferma che in Occidente ben oltre 12 milioni donne (39,6% contro il 31% di uomini), in sensibile aumento con l’avanzare dell’età (30,4% prima dei 18 anni, 40,1% dopo i 65), soffrono di dolore cronico grave.
La principale criticità nel trattamento del dolore è rappresentata proprio dal ritardo diagnostico: basti pensare che le pazienti giungono alla prima visita, indirizzate dal medico di famiglia (35%) o da un diverso specialista (53%), con una sintomatologia dolorosa più che avanzata e una intensità di dolore dichiarata intorno al livello 8 (la punta massima è 10). Causato nella donna per la maggior parte da polineuropatie e radicolopatie (58%), il dolore è spesso localizzato in una (62%) o due (24%) sedi con prevalenza agli arti inferiori (48%) o alla colonna vertebrale (45%). Solo nel 6% dei casi viene definito come generalizzato.
«Da vari anni nel mondo scientifico – sostiene Francesca Merzagora, presidente di Onda – si osserva che molte patologie che comportano dolori cronici, quali ad esempio cefalea emicranica, fibromialgia, artrosi o osteoporosi, tendono ad avere una maggiore incidenza nel sesso femminile. Se trascurate o sottovalutate possono avere importanti ripercussioni tanto sulle attività quotidiane, la conduzione familiare, il lavoro, la socialità quanto sul dispendio di risorse sanitarie, sociali e i servizi di cure primarie e specialistiche. Eppure, nonostante questo forte impatto in termini di sofferenza, disabilità e costi umani ed economici, in Italia si conosce ancora poco sulla cura del dolore cronico, tanto che sono pochissimi gli ospedali che hanno reparti dedicati o équipe di medici che, unendo competenze e forze, ragionino insieme per trovare cure adeguate o nuove vie di cura incentivando studi e ricerche».
«Desta preoccupazione e sconcerto – commenta in proposito Cesare Bonezzi, direttore dell’Unità operativa di Medicina del dolore della Fondazione Maugeri di Pavia – constatare che solo il 2% dei malati sia seguito da un medico specializzato nella cura del dolore». La ragione per cui sono in prevalenza le donne a sviluppare dolore cronico, spiega Bonezzi, va ricercata nel fatto che spesso sottovalutano i sintomi, con un conseguente peggioramento, e nella tendenza a soffrire con più frequenza di patologie del sistema nervoso periferico, in particolare ai tessuti pelvico-perineale e al volto (cavo orale), e di alcune neuropatie tiroidee e diabetiche. Sono invece più di appannaggio maschile le lesioni traumatiche da lavoro o le lesioni del plesso brachiale determinate da incidenti in moto.
Fonte :: focussalute.it
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